Felice Cascione

Fischia il vento per il comandante Megu

Si chiama Alto, ed è un borgo fiorito, uno di quegli angoli d’Italia che non ti aspetti. Perché è appena a due curve dentro la provincia di Cuneo, venendo dal mare di Albenga e se ti volti indietro, quando sei in alto, riesci a vederne l’azzurro.
Il mare lo avevano lasciato alle spalle anche i partigiani della divisione garibaldina che il 20 dicembre del 1943, al comando di Felice Cascione – per tutti “u Megu”, cioè medico, di nome e di fatto per la sua laurea in medicina, cominciano a percorrere un sentiero che sale da Casanova Lerrone, entroterra di Albenga, verso le prime pendici delle Alpi Marittime. Cascione ha solo 25 anni, vissuti di corsa: è uno sportivo, un campione italiano di nuoto e di pallanuoto, tanto che a Imperia, la sua città, è, come scrivono i giornali, un “piccolo dio locale”. Ha fatto l’esame di maturità con Alessandro Natta, futuro segretario del Pci; ha scelto di entrare nel partito comunista clandestino ancora prima di essere medico, la sua scelta di vita. E di iniziare a curare chi ne ha bisogno: e a chi non ha soldi, non ne chiede. Un’intenzione espressa, appena laureato, in una delle tante lettere a sua madre Maria, la coraggiosa e caparbia maestra antifascista che gli ha insegnato a non fermarsi mai. A non avere paura.

E’ un capo, Felice, non potrebbe essere altro. Con lui sono saliti 23 ragazzi in montagna, dopo l’8 settembre. E tra loro c’è Ivan che è stato in Russia, e che ama la musica. E si è portato la chitarra.
E su quel sentiero questo gruppo di ventenni alla guerra cammina di notte, si ferma di giorno, nei casoni dove si ripara il bestiame, o dove i contadini tengono gli attrezzi o qualcosa per affrontare la fame della guerra. E mentre aspetta, parla, discute. Pensa. E qualcuno dice “Comandante, ma perché non abbiamo una canzone?” Felice dice a Ivan “ma tu che musica sceglieresti?”. E Ivan non ha dubbi, c’è Katiusja, che è una melodia facile da ricordare, che porta il nome di una ragazza. E allora , tutti insieme,  cominciano a mettere in fila le parole.
Fischia il vento/urla la bufera/ scarpe rotte eppur bisogna ardir.

Mica difficile trovare l’ispirazione. Nevica, fa freddo, il vento urla sui costoni, perché ogni notte salgono sempre più su, i ragazzi di Megu. La canzone è il loro regalo di Natale ai fedeli che si spingono alla chiesa di un borgo isolato, a Curenna, in valle Arroscia: la eseguono all’uscita della messa di mezzanotte. E la canteranno, questa volta completa, davanti alla chiesa di Alto, il giorno dell’Epifania del 1944.

E’ bella quella canzone. Sta già diventando un simbolo. Megu non si è dimenticato del suo nome di battaglia e soprattutto del suo essere medico. Del suo aver studiato vent’anni per salvare delle vite, e quindi non voler  uccidere: lo ripete ai suoi quando vogliono uccidere due fascisti presi prigionieri. Anzi, lui impone di portarli in banda, perché studino, capiscano la vita e le scelte dei partigiani. Non si fidano i suoi, la storia dirà che avevano ragione….Ma in quel mese di gennaio, Cascione scende spesso dal picco a curare la gente del paese. Fino a quella mattina con un po’ di neve a terra. Ancora una volta sarà la sua generosità a imporsi. E per lui sarà la fine.

Ma la sua canzone è già altrove. E’ Maria che difende l’attribuzione del testo, da lei stessa rivisto, a Felice, nel clima confuso del dopoguerra. Fischia il vento resta colonna sonora della Resistenza, simbolo di tante lotte di libertà, capace di superare il secolo. Anche se pochi conoscono la storia di chi l’ha scritta, e perché.

Ma in quest’angolo di Nordovest tra Liguria e Piemonte Megu,  per molti anche giovanissimi,  resta  il comandante. Quasi un Che Guevara ligure: e l’anziano partigiano “Girasole” andrà a Cuba a raccontare la storia del medico combattente proprio ai figli dell’altro medico combattente, il comandante Ernesto Guevara de la Serna…

“Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli” (Castelvecchi editore, 140 pagine, 16,50 euro) è tutta questa storia. E’ anche ciò che resta dai tanti incontri, dalle testimonianze di chi c’era e ancora può raccontarlo, dalle rivelazioni mai pubblicate su Felice Cascione e la sua storia, dai luoghi – splendidi e spesso poco conosciuti – dove si sono svolti i fatti e sono vissuti i protagonisti. Era un debito verso un uomo come il comandante Megu, raccontare la sua storia e  quella della canzone diventata simbolo. Per ricordare che, qualsiasi cosa accada,  eppur bisogna andar.  Per non perdere il senso indicato da chi, settant’anni fa, ha scelto di fare lo stesso.
Il libro sarà presentato a Oneglia (Biblioteca De Amicis) il 22 aprile alle 17.30; a Genova (Libreria Feltrinelli, ore 18) il 23 aprile e alla Soms La Fratellanza di Pontedecimo il 27 aprile alle 17.30. Altri appuntamenti: alla Società Operaia di Sanremo il 29 aprile alle 17.30; a Diano Marina il 27 maggio, e il 30 maggio ancora a Genova al “Che Festival” di Music for Peace.


L’autrice di “Fischia il vento. Felice Cascione e il canto dei ribelli” è DONATELLA ALFONSO, giornalista del quotidiano La Repubblica. Per Castelvecchi-Rx ha scritto Animali di periferia. Le origini del terrorismo tra golpe e Resistenza tradita. La storia inedita della Banda XXII Ottobre (2012) . Tra gli altri titoli, Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943-1945 (De Ferrari, 2012); Genova, il ’68 con Luca Borzani (Fratelli Frilli, 2008); Romanza Popolare. Cornigliano, una storia corale con Patrizia Avagnina (De Ferrari, 2006).